
Eccomi all'ultimo atto. Dopo questo post, il blog non verrà più aggiornato. Il motivo per cui l'ho aperto si è esaurito: sono tornato a casa. Viaggio finito, portato a termine senza grossi imprevisti, con un'ottima dose di soddisfazione e un migliaio di foto.
L'orologio segna le 6.25, ma per il mio cervello è mezzanotte e mezza (alla faccia di chi dice che "dal fuso orario ti riprendi in un attimo").
Questo viaggio mi ha lasciato una valanga di ricordi (e un conto corrente decisamente più snello), credo di averlo fatto nel modo e nei tempi a me più congeniali.
Tirando le somme: ventidue giorni in Usa, cinque città (Seattle, San Francisco, Los Angeles, San Diego, New York), otto voli, circa ottocento miglia in macchina.
Ogni città mi ha colpito per qualche caratteristica (fisionomia, clima, atmosfera, gente). In cima metterei forse San Francisco. In coda invece metto New York: sarà stato il caldo devastante, l'albergo non troppo ospitale. Sarà, semplicemente, che son tagliato più per la California, ma - come già scrivevo qualche giorno fa - non mi sono innamorato di New York. Sono contento di averla vista, ma forse non ci tornerei.
A volte notiamo i dettagli. A me, ad esempio, ha colpito lo stile di vita di molti americani: cibi assurdi e niente acqua (solo bibite), shuttle e navette anche per fare 200 metri, aria condizionata ghiacciata in ogni dove. Ora, io non sarò un salutista, ma questo mi pare troppo. Esiste una ragionevole via di mezzo tra l'ammazzarsi di soda alle nove di mattina e correre come un invasato a Central Park all'alba.
L'America è un Paese straordinariamente grande, non posso dire né di averlo visto, né di averlo girato. Ne ho osservato un pezzetto, significativo e rappresentativo. Ci vivrei? Forse no. O forse, solo in alcune zone della California.
Ora è il momento di chiudere. Un saluto, quindi, a chi ho conosciuto in America e a chi, da casa, leggendo questo diario ha condiviso con me qualche istantanea di viaggio.
Passo e chiudo
Olé
Andrea